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ARISTROCAZIA WEBZINE

È giunta l'ora anche per il progetto sardo The Providence di sfornare l'opera di debutto, il buono ma altrettanto "malefico" creatore Bloody Hansen ha racchiuso in "Horror Music Made In Hell" la recente storia del combo, sono infatti in esso compresi i brani dei due promo "The Fear Remain The Same" e del successivo "The Seven Gates Of Providence" recensito al tempo dal sottoscritto.
L'ossatura della musica ha quindi basi più che solide, è l'amore incondizionato per la filmografia horror, per il rock/prog e l'heavy dark del periodo ottantiano a fornire i riferimenti sonori sui quali si muovono i brani ed è fondamentale più che mai il fattore atmosferico: come si potrebbe intitolare un proprio album "Horror Music Made In Hell" se non portasse con sè una massiccia dose d'inquietudine, ansia, ossessività, angoscia e con esse quella gamma di emozioni/sensazioni che conducono allo smarrimento e sconforto che spalancano le porte in direzione dell'oblio?
È questa la forza delle tracce, immergere l'ascoltatore in un mondo a scompartimenti in cui ogni singola esecuzione innalza lo stato d'adrenalina scaturito dalla primordialità di alcuni dettagli, quell'emanare una costante aura scura pronta a far scattare in noi chissà quale reazione.
Sono quattro le canzoni che si aggiungono a quelle già note, "Coming You" e il trittico finale che vede una dietro l'altra "Death Bag", "Dont' Go To Town" e "Rosemary".
La prima, "Coming You", è colei che ci conduce all'interno del pianeta horror dei The Providence, è disturbata e similarmente riconducibile a certe soluzioni sonore usate da case produttrici di videogames, "Death Bag" nel suo trascinarsi quasi singhiozzante infarcito da vari samples (pianti, urla, frasi recitate) riporta alle mente le ambientazioni del periodo anni Sessanta e Settanta, più triste e angosciante che violenta, violenza che comunque non si fa attendere dato che "Don't Go To Town" utilizzando torbidamente quella psicologica realizza una ragnatela stringente, grazie al lavoro delle chitarre, all'assolo unico e inaspettato all'interno del platter e ai cambi di tempo che ne scandiscono l'andare e aumentano la carica diabolica.
Capitolo a parte merita la lunga e conclusiva "Rosemary", dieci minuti di musica che offre di tutto e di più, sembra una vera e propria fiera nella quale Bloody Hansen mette alla mercé dell'orecchio da nenie ad accenni demoniaci, da sei corde in elettrico ad aperture in acustico fra l'altro pronte a dar vita a un riffing che incastrandosi con i cambi di ritmo tende a formare una struttura complessa che fa delle emozioni messe in gioco il collante che tiene su la baracca, forse ha calcato un po' la mano in quest'ultimo episodio, un po' snellita nel minutaggio avrebbe probabilmente reso di più.
Bloody Hansen è ormai avviato, ha imboccato la strada a lui più consona, certo è che in alcuni casi la ripetitività di alcune soluzioni potrebbe divenire un'arma a doppio taglio così come gli auguro di trovare un batterista umano, un session magari che possa suonare le parti di batteria in modo da inspessire ulteriormente le basi già ben piantate di questo progetto.
Siete appassionati di cinema e prediligete l'horror? Amate le colonne sonore lugubri? "Horror Music Made In Hell" non può passarvi inosservato, seguite le vicissitudini di questa realtà nostrana, da parte mia ha il pieno supporto

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